LA VAMPIRA DI BARCELLONA - terza parte

LA VAMPIRA DI BARCELLONA
terza parte

Teresita, Angelita e lo spaventoso epilogo


Enriqueta è conosciuta dalla polizia come una facoltosa possidente di vari immobili ma in giro si dice di lei che sia una fattucchiera, ma non una di quelle che ti vendono acqua colorata, amuleti di ossa di gatto e fanno finta di leggerti la mano, lei è una Strega vera in grado di preparare pozioni e compiere malefici. Si dice anche che abbia il vizio di avvicinare bambini e per questo sia stata cacciata via da Maiorca rischiando un linciaggio.
Ma sono voci di popolo senza alcuna prova di base, forse dettate dall’invidia perché, lei, Enriqueta ce l’ha fatta, ha vinto la povertà. C’è chi dice di vederla uscire di notte  sfoggiando abiti costosi, gioielli e parrucche, frequentare il Casino de la Arrabassada e il teatro El Liceu, sbandierando una opulenza oltre quella che effettivamente mostra di giorno. Enriqueta frequenta la Barcellona dabbene, col suo lavoro si è circondata di nobili e di ricchi borghesi di cui può godere i favori. 
Certo, il modo in cui ha ottenuto la sua posizione tutti lo conoscono, del resto lei non lo ha mai negato, come non negava di confezionare unguenti, dei medicamenti particolarmente efficaci contro la tubercolosi e la polmonite che poi rivendeva ai propri facoltosi amici a caro prezzo.  Medicamenti la cui ricetta teneva ben segreta per sé ma che di certo non sono degli incantesimi. E’ una guaritrice, dice lei, non una strega. Da qui ad accusarla di aver rapito dei bambini, poi,  ce ne passava.

E poi c’è una strana storia di quella donna che da qualche tempo viene avvistata con una certa frequenza proprio fra i vicoli del Barrio Gotico e di El Raval, una mendicante vestita di stracci che chiede l’elemosina e che ama avvicinare bambini piccoli che giocano da soli offrendo loro delle caramelle. Era una donna gentile che sapeva farsi ben volere da subito soprattutto da quelle madri che dovendo sbrigare delle commissioni non potevano controllare i proprio figli, in quel caso si offriva di badare lei ai loro piccoli fino al loro ritorno. Era più logico pensare che potesse essere lei la rapitrice anche se nessuna delle madri aveva sporto denuncia contro quella misteriosa donna gentile. Non c’era l’ombra di nessuna denuncia a  suo carico.


Con queste informazioni Ribot ferma in strada Enriqueta e la informa, con una scusa,  della necessità di perquisire il suo appartamento, stranamente la donna sembra preoccupata e nervosa e questo fa nascere dei sospetti negli agenti, che quindi insistono per entrare in casa.


Ormai non può più evitarlo e li lascia oltrepassare la soglia. Gli agenti mettondo piede in quell’appartamento e guardandosi intorno si stupiscono di quanto spazioso e grande sia. Ma poi notano uno strano sacco. E’ pieno di vestiti da bambino. I vestiti però, sono insanguinati. Ed a terra viene ritrovato un coltello da macellaio usato per disossare la carne. Gli agenti entrano allora velocemente in un’altra stanza scoprendo la presenza di due bambine. Sono denutrite, rasate, estremamente deboli e provate,  ma ciò che è importante è sono ancora vive. Dicono i chiamarsi Teresita e  Angelita.  Enriqueta tenta di difendersi dall’evidenza spiegando che Angelita è figlia sua e di suo marito Juan Pujalò e l’altra, quella che era stata erroneamente scambiata per la bambina rapita, era una trovatella di nome Felicidad, una bambina di strada, sola e abbandonata, che lei aveva accolto in casa sua per evitarle una sicura triste sorte. Se all’inizio le due bambine non contraddicono Enriqueta facendola sperare per il meglio, successivamente iniziano a parlare e la storia che racconteranno sarà agghiacciante.

Felicidad è veramente la piccola Teresita e racconta come quella donna, due settimane prima, vestita con abiti logori l’avesse avvicinata con gentilezza, le avesse donato delle caramelle dicendole di essere stata mandata dai suoi genitori per accompagnarla a casa.. Ma durante il tragitto, quando Teresita si accorge che quella non era la strada per la sua abitazione la signora le aveva gettato un panno nero addosso e minacciandola l’aveva portata di peso via con sé. Una volta arrivate in quell’appartamento la donna le aveva rasato i capelli e le aveva detto di essere la sua vera madre. Però, la signora, non l’aveva mai picchiata, l’aveva segregata in casa facendole mangiare solo scarse porzioni di pane raffermo e patate, minacciandola continuamente.


Purtroppo il racconto di Angelita è decisamente più drammatico. La bambina afferma che prima dell’arrivo di Teresita c’era bambino nella casa che la signora chiamava Pepito. Il piccolo era rinchiuso da solo in una stanza dove era proibito entrare ma un giorno, approfittando della momentanea assenza della signora, le due bnambine erano riuscite ad entrare per far visita a Pepito ma avevano trovato la stanza vuota, tanto sangue e un odore disgustoso. Quando la signora era tornata, accortasi che le due bambine  le avevano disobbedito le aveva costrette a mangiare del brodo in cui galleggiavano i piedini lessi di un bambino. Angelita disse anche di essere stata testimone dell’omicidio del piccolo. Quella signora lo aveva ucciso con un coltello sul tavolo della cucina.



Dopo le testimonianze delle bambine la polizia continua le indagini tornando in casa della donna e da ulteriori accertamenti e sopralluoghi trova purtroppo le prove a conferma della versione delle dpiccole.  La casa è molto più grande di quello che sembrerebbe. Come in un macabro gioco ci sono stanze che si differenziano completamente una dall’altra e che sembrano condurre porta dopo porta in una discesa verso l’inferno. Una rappresentazione in calce e mattoni di una mente malata. Le prime stanze a cui accedono sono inospitali, umide e sporche che fanno venire voglia di tornarsene indietro.  Passate queste ce n’è una completamente opposta, arredata con mobili lussuosi, contenente un armadio pieni di vestiti eleganti.  Ma è nella stanza successiva che si apre uno scenario da incubo: la stanza contiene una cinquantina tra contenitori di ogni tipo, pieni di sangue, ossa, grasso e vari resti umani, insieme ai quali spuntano gli unguenti miracolosi della guaritrice e quelle caramelle che drogava per stordire e rapire i piccoli. Perché sono questi gli ingredienti segreti con cui  Enriqueta confeziona quei ritrovati miracolosi. Gli agenti scandagliano ogni angolo dell’appartamento scoprendo nascondigli in cui sono nascosti gli scheletri di bambini. Dall’orrore emerso, appare loro necessaria una accurata perquisizione anche dei precedenti alloggi di  Enriqueta , in ognuno dei quali verranno ritrovati altri corpi straziati di bambini. Se ne conteranno ufficialmente dodici  ma sembrerebbe essere un numero molto più alto data la quantità di ritrovamenti di organi e resti singoli.  L età i si aggira da poco meno di tre anni agli otto. 


In storie come queste, in ogni tempo, la stampa assume sempre un fondamentale ruolo di in formazione e a volte, inventa nomignoli per creare il mostro di turno e purtroppo in alcuni casi distorce la realtà per rendere la storia appetibile a più persone possibili. Così come qualche anno prima a Londra nasceva “Jack lo Squartatore” ora a Barcellona  nasce “la vampira di Barcellona” detta anche “la Vampira di Calle de Ponent”, sottolineando i particolari macabri e il suo legame con la stregoneria. Si dirà, ad esempio, che in una di queste perquisizioni sia saltato fuori un libro in carta pergamena, una specie di grimorio della strega, dove la donna teneva appuntate le sue misteriose formule per unguenti e malefici.





La verità su quel  libro però, sarà ancora più terrificante. Enriqueta martì era una donna d’affari e teneva un registro in cui annotare i nomi della sua focaltosa clientela e i loro acquisti. Doveva la sua fortuna ad una dinamica attività di prostituzione, annotando con precisione clienti e relativa prestazione sessuale che richiedevano purtroppo l’uso di poveri bambini. Clienti a cui poi vendeva i suoi medicamenti  fatti proprio con i resti di quelle innocenti vittime. Era riuscita a creare quella che oggi definiamo una rete di pedofilia chiusa con una stretta catena di protezione dai piani alti, impossibile da scoprire in quanto i clienti erano i membri di altolocate famiglie della Barcellona che contava, elementi influenti della politica , tutti con validi motivi ad operare per l’insabbiamento delle prove. Anche questo non sfuggirà ai giornali del tempo che insisteranno nel ricordare quella famosa Semana trajca di tre anni prima, in cui la donna era riuscita a farla franca grazie alle sue influenti conoscenze.  

La polizia si stupì inoltre di ritrovare decine di ciocche di capelli ben conservate in una collezione custodita gelosamente ma ritenne che potessero essere ingredienti per gli unguenti. Ma Enriqueta Martì Ripoies era una serial killer e quelli erano i suoi trofei. Purtroppo ci sarebbero voluti oltre sessanta anni ancora prima che  il profiler Robert Ressler rendesse famosa questa classificazione di assassini.



A causa dell’efferatezza dei delitti, del fomento giornalistico, della rabbia popolare la polizia stentò a sventare un linciaggio vero e proprio quando Enriqueta fu trasportata nel carcere di Reina Amalia.
Tutti chiesero a gran voce che venisse processata a porte aperte in un processo pubblico ma a causa dei molti nomi di rilevanza negli ambienti di potere che la donna avrebbe potuto fare e gli scandali e le carriere e vite rovinate che sarebbero succedute quel processo non venne mai celebrato e Enriqueta Martì viene direttamente rinchiusa in attesa dell’esecuzione della pena di morte. Ma il popolo non ottenne nemmeno di assistere alla fine del’assassina perchè 12 maggio del 1913 Enriqueta viene trovata nmorta dopo aver scontato quindici mesi di carcere. C’è chi dice sia un suicidio, chi  dice che qualche compagna di carcere l’abbia giustiziata, c’è chi dice addirittura che la giustizia divina le abbia inflitto una di quelle malattie che lei cercava di curare con i suoi rimedi , secondo la dantesca di legge del contrappasso. Non si seppe mai la verità sulla sua morte e il luogo della sua sepoltura non venne mai reso noto, come a cancellarne per sempre anche il suo ricordo.
Sulla vera identità di Angelita non si fece luce ed Enriqueta ne diede varie verisoni, dopo che Juan Pujalò, interrogato vairie vcolte dalla polizia riuscì a dimostrare la sua estraneità agli omicidi e smentì di ersserne il padre lei dichiarò che in relatà Aneglita fosse figlia di una parente di Juan che Enriqueta aveva aiutato a partorire ma che volendole sottrarre la bambina l’aveva convinta che la piccola fosse nata morta. Questa fu solo l’ultima delle versioni rilasciate dalla donna perciò non venne ritenuta attendibile.Sulla vera identità di Angelita non si fece luce ed Enriqueta ne diede varie verisoni, dopo che Juan Pujalò, interrogato vairie vcolte dalla polizia riuscì a dimostrare la sua estraneità agli omicidi e smentì di ersserne il padre lei dichiarò che in relatà Aneglita fosse figlia di una parente di Juan che Enriqueta aveva aiutato a partorire ma che volendole sottrarre la bambina l’aveva convinta che la piccola fosse nata morta. Questa fu solo l’ultima delle versioni rilasciate dalla donna perciò non venne ritenuta attendibile.

Ci sono storie dal duplice aspetto adatte alla speculazione, alla riflessione e forse questa merita attenzione.
Vale forse la pena accennare a delle particolari coincidenze. La parola MUTI significa “medicina trazionale africana” rituali, stregonerie utilizzarti particolarmente in Zambia, Tanzania, Burundi e africa meridionale. La caratteristica di questo medicamento magico è quella di utilizzare parti del corpo umano per creare medicinali con lo scopo di curare varie patologie. Si ritiene che per ottenere la massima efficacia le parti del corpo della vittima debbano essere prelevate quando la persona è ancora viva. Purtroppo anche in questo caso le vittime preferite sono i bambini. Gli acquirenti sono soprattutto persone benestanti in gradi di pagare cifre elevate per ottenere le medicine ricavate da quegli organi o acquistarli per propiziarsi fortuna. La richiesta è talmente elevata da aver creato una vera e propria rete commerciale sul continente. Una interessante lettura sull’omicidio rituale in Africa è African Serial Killers di Sabrina Avakian




Vale la pena anche ricordare che le terre d’Africa sono state invase dal mondo colonizzatore di occidente  che vide la propria epoca d’oro nell’ultima parte dell’ottocento e l’inizio del novecento, soprattutto da parte di quella Europa in cui fioriva una particolare elitè legata al mondo esoterico che si intrecciava alla massoneria, elite formata da industriali, politici, artisti, gente influente che amava l’avventura e i Safari e che spesso riportava strani oggetti trafugati insieme ai trofei di caccia. Quella elita formata da gente influente di cui Enriqueta amava circondarsi.  Quella elite nella cui culla vide i natali l’operato controverso di Aleister Crowley dal cui scritto “Libro della legge” si può leggere “…di conseguenza per l’elevata operazione spirituale si deve scegliere quella vittima che contiene la forza più grande e pura. Un bambino maschio dall’innocenza e dall’intelligenza perfetta è la vittima più soddisfacente e appropriata”. Di certo Enriqueta non aveva inventato nulla di nuovo.


Forse sono solo coincidenze, forse certe volte è molto più conveniente rivolgere la giusta vendetta solo verso “un  mostro” preciso e giustiziabile, lasciando nell’ombra tutti i complici. Forse certi libri possono capitare in mani sbagliate, per un triste destino o per una volontà maligna.  Questa è una di quelle storie strettamente legate alla degradazione della sua epoca ma che se provassimo a cambiare data posticipando i fatti di un secolo  ci accorgeremo di quanto sia terribilmente attuale

La Vampira di Barcellona - prima parte - La Vampira di Barcellona - seconda parte

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